Privacy Policy

Un Sogno Chiamato Florida

La recensione del film

È stata senz’altro la nomination a Willem Dafoe come miglior attore non protagonista a farmi notare Un Sogno Chiamato Florida. Poi ho letto una sinossi che lo descriveva più o meno come “l’altro lato di Orlando, Florida”, vale a dire i motel squallidi, rifugi di poveri e derelitti, appena fuori Disneyworld.

Di derelict movie, quest’anno, ne abbiamo da averne piene le palle. Lady BirdMudboundLa Forma dell’Acqua,Dunkirk, a loro modo raccontano tutti le storie di outsider, perdenti, derelitti ed emarginati. Penso che Un Sogno chiamato Florida sia il culmine del trend, raccontando la storia dell’estate di Moonee, figlia di Halley, una madre single di quelle “poco di buono” in tutto e per tutto: negligente, cattivo esempio, un po’ lavativa un po’ sventurata, e – cosa più accennata che palesata nel film – di facili costumi. La bambina trascorre le vacanze scolastiche con gli amichetti a suon di scorribande nel vicinato del motel dove abitano, custodita dall’occhio vigile del custode del posto, un malinconico padre separato interpretato da Dafoe, unico vero “genitore” della bambina, tra i vari problemi del motel, fatiscente nella struttura e nelle frequentazioni.

Ho amato questo film per svariati motivi, non solo per Dafoe, che come sempre fa la storia: ma non è una novità per me, è da Nato il Quattro Luglio che dico che è uno degli attori più sottovalutati della storia. Non solo interpretazioni come PlatoonL’Ultima Tentazione di Cristo, ma anche aver dato la faccia a Norman Osborn in Spiderman e a personaggi biechi e strani anche in film di Wes Anderson come Gran Budapest Hotel ne hanno fatto un mio eroe. Per i profani di film in lingua originale, è anche la voce di Branchia (Alla ricerca di Nemo).

Ma veniamo agli svariati motivi di cui prima. Innanzitutto, il soggetto “derelitti appena fuori Disneyworld” è sovversivo, stimolante, e richiederebbe 170 giorni di dibattito aperto. Un’occasione di vedere il mondo al di fuori dei cancelli dorati del regno della fantasia, dovremmo averla tutti: ci aiuterebbe a vivere meglio con noi stessi e con gli altri, ad accontentarci di ciò che abbiamo, di aver voglia di essere migliori per noi stessi e per i nostri figli. Nel caso di Halley, sembra non esserci redenzione per questa madre da ritiro patente, con una figlia tanto adorabile quanto scalmanata.

C’è appunto la questione madre–figlia–senza–padre, che a me sta particolarmente a cuore, e che in questo film un po’ racchiude i miei pensieri e le mie paure a riguardo. Nel senso che a certa gente andrebbe proibito d’ufficio di fare figli. Figli che crescono meravigliosamente non grazie ai genitori, ma nonostante i medesimi. Ma tant’è. Nel caso di Un Sogno Chiamato Florida, l’interpretazione della piccola Brooklynn Prince è così adorabile che disarma lo spettatore più inflessibile.

Halley poi è davvero la madre che ogni assistente sociale vorrebbe veder bruciare all’inferno: senza reddito fisso, senza pensieri, senza alcuna preoccupazione per la dieta, gli studi o qualsiasi aspetto della vita di sua figlia. E di tutto ciò, non si prende la briga nemmeno di rendersene conto. Una scroccona ingrata, mezza tossica e mezza truffatrice. Costretta dagli eventi? Può darsi, ma questa ragazza brucia pure tutti i ponti, con violenza e intolleranza verso chi anche solo pensa di poterla apostrofare. Verrà pure da tifare per lei, ognitanto; ma in fondo è un po’ lei la villain del film.

E qui apriamo una parentesi. Bria Vinaite, immigrata lituana classe 1993, interprete di Halley, non aveva mai recitato prima. Il regista l’ha scovata sapete dove? Su Instagram! Già. Le ha scritto, si son messi d’accordo e hanno girato un film fantastico di cui la sua interpretazione vigorosa, quasi viscerale, è uno dei punti di forza.

Altre migliaia di problematiche vengono affrontate anche marginalmente, nel film: la prostituzione, la pedofilia, la difficoltà ad essere genitore single–separato, la povertà in primiscomunque: lo scendere a patti con tutto e tutti pur di sbarcare il lunario, in fondo senza però, nel caso di Halley, scendere a compromessi veri con nessuno. È un po’ questa, la sua traiettoria, con conseguenze nefaste per Moonee, che in conclusione, idealmente, trova rifugio solo in quello stesso mondo fantastico da cui la sua vita da derelitta e la dissolutezza della madre l’hanno esiliata. Troverà pace lì? Non ci è dato saperlo. O sì?

Vi auguro davvero di trovare questo film.

Scheda Film
  • Regista: Sean Baker, 8.
  • Protagonisti: Brooklynn Prince 8, Bria Vinaite 8, Willem Dafoe 8.
  • Pollice su: Recitazione, soggetto, inquadrature.
  • Pollice verso: La non immediatezza e povertà audiovisiva tipica di un film non per tutti. Più un pregio che un difetto, però.
  • Recitazione: 8.
  • Montaggio: 7.
  • Musiche: 5. Scarsette.
  • Visuale: 6.
  • Trama: 6.
  • Epilogo: 7.
  • Particolarità: La scena finale, l’unica all’interno del parco divertimenti, a quanto pare è stata filmata con un iphone all’insaputa della direzione del parco. Sovversivo.