Non ho letto Inferno, ultimissima fatica di Dan Brown, per ragioni varie, ma fondamentalmente mancanza di curiosità.
Non me ne vogliate: lo trovo bravissimo a scrivere. Il codice da Vinci me lo divorai tra le 22:00 e le 3:00 di una notte di primavera. Brown ha una dote innata inestimabile: scrive film su carta stampata. I suoi due romanzi che ho letto, il già citato Codice e Angeli e Demoni, sono avvincenti, pieni d’azione, semplici da leggere e soprattutto privi di tempi morti inutili alla narrazione cinematografica. Per farla breve, quanto mi sarebbe piaciuto essere uno scrittore come lui. Ma tant’è.
L’altra faccia della medaglia è che i suoi libri – spoilerando leggermente – sono tutti uguali: tesi avvallata da mio fratello, che ha letto pure Crypto e La Verità sul Ghiaccio che oggi occupano spazio morto in libreria, intoccati da me proprio come Brisingr e Inheritance di Cristopher Paolini. Dal canto mio, mi sono ormai abituato che le trame di Dan Brown includono Robert Langdon che si trova con un petardo da paura che fa da spalla alle sue mirabolanti intuizioni di simbologia artistica. E pazienza se nessuno dei pericolosi gruppi terroristici della vita reale si diverte a lasciare indizi nelle opere d’arte millenarie, ma nuovamente, tant’è; tornando alla trama, dopo mirabolanti avventure si arriva al colpo di scena; dopodiché c’è il colpo di scena nel colpo di scena. Insomma, chi ha imparato a conoscere quel mattacchione sa che c’è sempre un doppio plot-twist. Prevedibilissima Imprevedibilità. E da qui la mia mancanza di curiosità nei confronti della nuova avventura di Robert Langdon (e sta giacca in tweed devo ancora vederla…).
Un fattore importantissimo: mia mamma sta passando qualche giorno da noi. Mia mamma ama molto le storie con enigmi ed esoterismo, tant’è che i film e libri di Dan Brown l’hanno affascinata non poco. Per cui era un’occasione ghiotta per andare al cinema con mammina, dopo settantordici anni che non lo facevamo (Star Wars ep. I? è possibile…);
Tom Hanks è Tom Hanks;
Il petardo di cui sopra in Inferno risponde al nome di Felicity Jones. Cast di Star Wars + petardo: caratteristiche imperdibili.
Ron Howard è il regista di Rush. di A Beautiful Mind. Di Apollo 13. Di EdTV (se non l’avete visto siete stupidi quanto quelli che postano su facebook sui 35 euro agli immigrati) e Cuori Ribelli (sì, qualche romanticazzata la guardo anch’io, e poi è di quando Nicole Kidman era ancora figa. O meglio, umana.). Se non bastasse questo, è il regista di capolavori del cinema come Gung Ho – Arrivano i Giapponesi, Willow e Cocoon. E pazienza se è pure il regista di Splash – Una sirena a Manhattan; sturiamoci il naso se fu Ritchie Cunningham. Se non altro, merita la mia attenzione. Honoris causa.
Per queste e molte altre ragioni, il film Non c’è nulla di meglio da vedere della settimana è stato proprio Inferno.
Non conoscere la trama è stato d’aiuto, per le ragioni citate. Mi sono infatti posto una semplicissima domanda: lo scrittore di film è in grado di sorprendere chi non ha letto i libri?
La risposta è ni. L’atteso colpo di scena è arrivato, puntuale, ad una distanza insospettabile dal finale. Insospettabile fin là, proprio perché il fatto che al finale mancasse abbastanza è già di per sé una ravvisaglia che sta per arrivare il marchio di fabbrica di Dan Brown: il fantomatico colpo di scena nel colpo di scena. Che, puntuale, arriva. E però non è quel che ci si aspetta. Per cui ti soddisfa, senza doversi appellare ad assurdità del genere (spoiler alert Angeli & Demoni!) prete-ex-pilota-militare-salva-il-mondo-e-viene-acclamato-papa, ma piacevolmente sorprendente.
Per cui: il finale, grosso handicap del novelist statunitense, stavolta soddisfa. Quanto al resto del film, l’azione da cardiopalma praticamente dall’inizio alla fine ti tiene incollato alla sedia, gli occhi attenti e il popcorn ha tempo di raffreddarsi. Tom Hanks sempre in forma, Felicity Jones – non serve che faccia nulla, è bellissima e perfetta per il ruolo – sorprende con un’espressività fuori dal comune (e qui perdonatemi: quanto manca a Rogue One?????).
In forma Omar Sy (quello del “devo ancora vederlo” Quasi amici) e Infann Khan visto in Vita di Pi. Quest’ultimo avrebbe meritato un ruolo maggiore – chi ha letto il libro mi dica poi se ce l’ha – visto il carattere del personaggio, irriverente e cinico come piace a me. Degli altri attori sinceramente non c’è molto da dire.
Merita una menzione speciale la caratterizzazione dell’italiano in un film ambientato al 100% in Italia: come sempre, un popolo un po’ scemotto, a cui piace alzare la voce e gesticolare. Non vi ci riconoscete? E pazienza, è vero, punto e basta. Lo so io, lo sa Ron Howard, lo sapete anche voi. Peccato che gli attori (o i doppiatori) non sappiano fare il loro lavoro, risultando in una caricatura della caricatura. Ragion per cui il giudizio finale – ma in FocacCine imparerete che è una regola – lo rinvio a quando guarderò il film in lingua originale. Eccellenza del doppiaggio italiano sto paio di stivali!
Nel complesso, non aspettatevi troppo da Inferno. Ma neanche troppo male. Io personalmente amavo il Tom Hanks di Casa Dolce Casa e L’Uomo con la Scarpa Rossa; di Forrest Gump (scontato); quello che un po’ si prende in giro un po’ si prende troppo sul serio (Il Ponte delle Spie e The Terminal esempi lampanti). Questo film resta un suo punto alto, essendo anche, credo, l’unico franchise al quale abbia mai preso parte. Ma intendiamoci, per punto alto non intendo l’Everest. Siamo a livello Marmolada, dai… Forse Forse Monte Grappa. Abbastanza da inserirlo nella top ten 2016 in una buona posizione, ma in un deserto cinematografico dell’era dei rdm (adrem id ekamer letto al contrario) non è poi una notizia.
Voto 6 insomma.