– Brave New World –
Da anni mi proponevo di leggere Brave New World, almeno da quando scoprii che non era semplicemente il titolo di un album degli Iron Maiden.
La prima volta che sentii il nome di Aldous Huxley fu in Run, Baby, Run di Sheryl Crow. Con gli anni scoprii che il suo Le Porte della Percezione aveva dato il nome ai Doors. Non molto di più, d’altronde, da buon finto intellettuale quale sono, ciò mi bastava per trovarlo figo e anticonformista, un po’ un nome da sbandierare ai miei amici pecoroni nelle conversazioni proto-hipster di fine 2000. Ma tant’è.
Scopro che Huxley è un po’ ignorato, da noi. Rispetto ad Orwell, sembra quasi snobbato. Eppure, già nel ’32, Il Mondo Nuovo ci trasportava negli angoli oscuri del capitalismo a stampo fordista.
Dopo anni di corteggiamento e di esitazioni, ho preso l’ebook in inglese e l’ho letto con la stessa passione che il Mondo Nuovo osteggia. Sono arrivato all’epilogo stamattina, poco prima dell’alba,senza riuscire a fermarmi prima di quella parola che mette fine a tutto: “east…”
La fine di questo romanzo mi ha scavato una trincea nel cuore.
Il Mondo Nuovo è una visione cruda, sarcastica e spietata del futuro; eppure neutra, super partes. Huxley giudica con egual severità progresso e conservazione, futuro e anacronismo, edonismo e altruismo. Non è clemente con la distopia né con l’utopia reazionaria al suo interno. Fatalista e neutrale, condanna tutti con la sua neutralità.
Ma il suo vero pregio è l’essere terribilmente profetico. Oltre Orwell, oltre Bradbury, oltre Lang, anni luce oltre le distopie teen alla Hunger Games. Un futuro senza ribellioni né ribelli, dove conflitti e contraddizioni sono fagocitati dall’ingegneria genetica e comportamentale. L’Uomo è design, diviso in caste già al concepimento – rigorosamente in vitro – è mercato, verbo del culto Fordista: manodopera, burocrazia e classe dirigente vengono condizionate già in fase embrionale. La forza-lavoro è numerosa, fiera e “semi-moron”; la classe dirigente è “decantata” come un vino pregiato, addestrata al pensiero autonomo-ma-non-troppo.
Suona familiare?
Per Huxley la storia non è manipolata come per Orwell: è cancellata, sbagliata e abominevole, “una sciocchezza” per dirla con Nostro Signore Ford. Il presente è invece giovinezza, salute e gioia. Famiglia, amore, cultura sono abolite, sostituite dai vizi senza i quali “non si può avere una civiltà durevole”. Per la ribellione, l’anticonformismo, c’è la dose di Soma, la droga di Stato che inebetisce e anestetizza in nome della coesione sociale. Si vive di innumerevoli, stupidi slogan e filastrocche infantili recitate all’infinito.
Che dire dei personaggi, ingannevoli e ambigui? Bernard Marx, l’outsider malinconico, idealista e sentimentale, esordisce dandoci l’idea di essere il Winston Smith di Huxley e compie una triste parabola di meschinità ed egoismo; Lenina Crowne, frivola e testa-vuota, cittadina-tipo di questa società artificiosa, scopre una profondità alla quale non è e non sarà mai pronta. John, il “Selvaggio”, dà il tono alla narrazione. In un’opera che cita Shakespeare più che spesso, sono gli occhi dello straniero, della terza parte, a fornire la giusta lettura della società che vede. Occhi “selvaggi”, allenati all’amore, all’attaccamento, all’eroismo: tutte cose che il Mondo Nuovo infine distrugge con la propria sete di idolatria mediatica, un epilogo che fa impallidire anche il “2+2” orwelliano.
La mattina in cui ho finito il libro, il giornale radio rimproverava l’assenza dei movimenti pacifisti nelle piazze italiane ed europee. Un po’ come in un mio brano, in cui dicevo che “nelle piazze tutto tace/le bandiere della pace/alla prima bomba s’ammainavano di già”.
“Oh, Brave new World!” Abbiamo riposto le bandiere della Pace in un cassetto, scambiata per un hashtag, che poi è lo slogan per antonomasia; drogati da schermi e serie TV; compiaciuti nel nostro anticonformismo da tastiera, urliamo da case di cemento scaldate a gas e illuminate a carbone che dobbiamo salvare il mondo dalla deriva liberista.
Ripenso al respiro di mio figlio nella penombra della camera da letto. Che mondo gli lascio? Omologato, consumista, “drogato” dalla soma digitale fin dalla culla: smartphone, Smart TV, il dedalo etereo dei big data. Quali valori, da semi-vergine di paternità quale sono, mi propongo d’inculcargli nei pochi anni che a me concessi come sua guida?
Che uomo voglio plasmare? Il selvaggio John, voglioso di autentica, shakespeariana infelicità? L’amorfa Lenina, incapace di comprendere le emozioni che pretende di usurpare? Il finto ribelle Bernard, voglioso di approvazione, di omologazione più di chiunque altro?
Non posso che augurarmi di allevare un figlio disadattato. Uno di quelli che, pur tra mille sofferenze, con il loro esempio rendono il mondo un milligrammo migliore. Un “Savage” a lieto fine, in un Mondo Nuovo che, davvero, mi auguro Aldous Huxley non abbia descritto troppo accuratamente in questo romanzo dalla bellezza terrificante.