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Bridget Jones’ Baby

 

Via alle danze! Anche la rubrica Col senno di poi parte! Questa rubrica è dedicata alla seconda visione di un film visto al cinema: vale a dire, quando mi arriva a casa il dvd e finalmente – che goduria! – posso vedere il film vero, libero dai patemi e dai limiti eclatanti dell’italico doppiaggio. Quello che tanto difendete, che “siamo bravissimi” di qua, “negli altri paesi non doppiano bene come noi” di là – neanche li doppiaste voi, poi…

La verità è che chi rigurgita queste stupidaggini di solito non si azzarda mai a vedere un film in lingua originale. “è difficile”, “Non capisco niente”, “Non riesco a leggere sottotitoli e seguire il film”… Su, dai, ragazzi e ragazze, siate onesti quanto il mio compare, che dice: “Non ho voglia!” E così almeno lo sappiamo.

Però, appunto, dovete capire cosa vi perdete.
Per quanto riguarda Bridget Jones’ Baby – e Bridget Jones in generale – vi perdete tanto. Troppo. Innanzitutto facciamo un passo indietro e parliamo di Renée Zellweger: Texana. Nel senso che è del Texas, quindi, per chi non lo sapesse, ha una parlantina che sembra un po’ George W. Bush se George W. Bush fosse femmina, gnocca e non fosse una scimmia imbecille. Quindi, vederla fare l’accento british è già di per sé esilarante. Durante questa divertente trilogia, è stata messa a confronto con attori che del british hanno fatto il loro marchio di fabbrica: Hugh Grant, Colin Firth, Jim Broadbent per citarne alcuni.

Di per sé, nei primi cinque minuti Bridget Jones’ Baby vi fa temere di essere incappati in un nuovo Zoolander 2, un riciclaggio di personaggi che non possono stare al passo coi tempi.
Ma sono cinque minuti, e poi vi passa. Questa commedia più per donne che per uomini – ma che ho sempre trovato superiore alle commediole romantiche da strapazzo che ci sono in giro – prende subito il via, mostrando (come confessano i produttori stessi) una Londra più moderna e cosmopolita, diversa di come l’avevamo lasciata alla fine di Bridget Jones: The Edge of Reason. Il modo stesso di parlare è meno cristallizzato nel tempo rispetto agli altri film: la musica, la vita, il sesso, tutto è cambiato. E se da una parte questa “vecchia” Bridget sa un po’ di stantio quando si presta a parlare di Instagram e altri neologismi culturali, dall’altra continua a sapere il fatto suo (carino il siparietto al suono di Gangnam Style, sebbene forse un lustro in ritardo).

Bridget continua ad essere, “un’incontinente verbale”; non Mr Darcy, [molto] più vecchio dell’ultimo film ma sempre brioso e perfetto come solo un uomo inventato di sana pianta da una scrittrice (donna) può essere.

Quindi, al di là del patema linguistico, questo film – anche per i maschietti – merita di essere visto. A maggior ragione, merita di essere visto in lingua inglese, a tutti i costi. Prevedo che in un paio di mesi il dvd avrà prezzi bassissimi vista l’ondata di sequel-settordici-anni-dopo degli ultimi tempi. Io me lo sono assicurato subito per la mia signora, completando un’altra saga della nostra collezione. Voi potete anche aspettare di spendere meno. Ma prendetelo, prendeteli tutti e tre.

Nota dolente: Patrick Dempsey. No, non è invidia, ragazze! Quell’uomo ha una voce ri-di-co-la! Imbarazzante! Per non contare che… Spero faccia la parabola di Matthew Mcconaughey nella sua carriera, perché per ora mi sembra che reciti meglio io quando dico alla mia signora che non ho bevuto. Ma tant’è. Enjoy, guys! See ya!